Non solo Michelangelo e non solo Leonardo, a Gianluigi Colalucci e Pinin Brambilla dobbiamo il merito di aver permesso la conservazione di due dei più grandi capolavori dell’umanità, visibili ad oggi grazie ai due grandi restauri.
Michelangelo, Da Vinci, Giotto, Caravaggio: sono i nomi di alcune delle più influenti personalità che hanno reso prezioso il patrimonio artistico italiano, rendendolo unico a livello mondiale. Ma chi gioca un ruolo fondamentale nella conservazione dei loro grandi capolavori, non viene altrettanto spesso nominato. Con le intemperie, gli anni, la sporcizia, le opere d’arte sono continuamente soggette a cambiamenti ed escoriazioni, fino a scomparire, talvolta. Il restauro non è solamente essenziale al mantenimento di un affresco, una statua o un quadro, ma è anche un mezzo per decifrare il processo creativo che si cela dietro ad essi, ricercando, spesso tra numerose seconde mani, quella dell’autore. Gianluigi Colalucci e Pinin Brambilla hanno avuto il privilegio e la responsabilità di affrontare due tra i più grandi restauri dei nostri tempi, riportando alla luce, tra stima e controversie, capolavori inestimabili.
I GRANDI RESTAURI CHE SALVANO LA STORIA: LA SISTINA DI GIANLUIGI COLALUCCI
La Cappella Sistina occupa il podio sull’itinerario di ogni turista che si rispetti, lo sappiamo; la volta affrescata e i suoi colori non lasciano indifferenti, la quantità innumerevole di personaggi, la storia dietro ogni espressione o volto è il frutto di un lavoro meticoloso durato quattro anni.
Il Giudizio Universale è il capolavoro assoluto di Michelangelo, ma le mani di altri grandissimi quali Botticelli, Perugino e Pinturicchio contribuirono alla creazione della Sistina. Quello che molti ignorano è che quei colori oggi visibili a tutti i visitatori, non sono sempre stati tali, o meglio erano coperti da beveroni di polvere e fuliggine, che ne attenuavano la luminosità.
È qui che entra in gioco il lavoro del restauratore in uno dei grandi restauri della storia dell’arte italiana, che con accortezza deve salvare l’originalità dell’opera. Gianluigi Colalucci, scomparso nel marzo 2021 all’età di 92 anni, si occupò della pulitura della volta della Cappella Sistina per quattordici lunghi anni, raccontandone l’impresa in un libro intitolato Io e Michelangelo.
Formatosi all’Istituto centrale per il restauro di Roma, Colalucci crebbe sotto l’ala del maestro Cesare Brandi, ideatore della scuola e della Teoria del Restauro.
Colalucci era a capo del laboratorio del restauro delle pitture in Vaticano e si occupò della Cappella Sistina dal 1980 al 1994, affiancato dagli storici dell’arte vaticani Fabrizio Mancinelli, direttore delle gallerie di pittura, e Carlo Pietrangeli, direttore dei Musei.
QUEI RICCIOLI COLOR OCRA CHE RIPORTARONO IN VITA MICHELANGELO
In un’intervista di qualche anno fa Gianluigi Colalucci racconta come la scoperta dei veri colori della volta Vaticana avvenne in maniera quasi casuale, perché il restauratore non sa stare fermo con le mani. Il maestro era infatti impegnato nella restaurazione degli affreschi tardo cinquecenteschi di Matteo da Lecce e Hendrik Van de Broeck, affiancato dai colleghi Maurizio Rossi e Piergiorgio Bonetti, quando la curiosità lo spinse a fare un controllo su una delle lunette di Michelangelo, quella dedicata ad Eleazar.
Passando un fazzoletto inumidito su un centimetro dell’opera, Colalucci rimase piacevolmente sorpreso dal colore che ne venne fuori, un giallo ocra acceso e luminoso, quello dei ricci del bellissimo Eleazar. Un ingombrante strato di sporcizia attenuava drasticamente i colori scelti da Michelangelo, conferendo all’intera opera quell’alone oscuro che, secondo alcuni, la contraddistingueva.
La prova del nove fu il rinvenimento di una stuccatura antica che era stata apposta sopra una lesione nell’area della Sibilla Persica, che confermava la vivacità dei colori originali, così dopo un anno di pareri a favore e contrari, l’operazione prese il via; solo per la pulitura della lunetta di Eleazar Colalucci impiegò cinque mesi di lavoro.
Nel libro da lui stesso scritto, il maestro racconta come ha vissuto corpo a corpo con l’opera: stare a contatto con la pittura era ciò che lo faceva stare bene e ciò che effettivamente lo spinse a intraprendere la carriera di restauratore.
Dopo quattordici anni Colalucci conosceva ogni dettaglio o espressione dell’opera, che rivedeva nella vita quotidiana attorno a lui, la pittura di Michelangelo era essenza stessa dell’uomo e lo aveva completamente assorbito.
I GRANDI RESTAURI NEL QUADRO STORICO SOCIALE: AFFRONTARE LE COTROVERSIE
Quando sei a capo di uno fra i più grandi restauri italiani e hai in mano un’opera di importanza colossale, ti devi fare anche carico di tutte le pressioni che questo comporta.
Fu tanto difficile per Gianluigi Colalucci quanto forse più per Pinin Brambilla, che come restauratrice donna del Cenacolo di Da vinci, subì non pochi giudizi. La responsabilità era enorme e il lavoro la teneva lontano dai figli e dal marito; perciò, oltre alle difficoltà personali vi si aggiungeva anche il vaglio di una società ancora retrograda.
All’epoca del restauro della Cappella Sistina, Colalucci ricevette non solo l’appoggio del papa Giovanni Paolo II, ma anche quello dell’effervescente cultura anni ’80, che era aperta all’innovazione e accolse con zelo quell’operazione che avrebbe fatto uscire la volta del Giudizio Universale dall’oscurità.
Il ruolo della società è parte integrante del processo che precede la decisione di restaurare, in quanto l’opera va inquadrata anche nel periodo storico in cui si vive e nei gusti di chi la guarda. Colalucci non fu infatti il primo a tentare la restaurazione della Cappella Sistina: Vincenzo Camuccini, nel 1825, fu bloccato dai troppi pareri avversi, che comunque non mancarono nel 1980.
Tra i nomi di chi si dichiarò contrario al lavoro di Colalucci spiccano quello di Toti Scialoja, sostenitore del Michelangelo oscuro, e quelli dei professori Alessandro Conti e James Beck e dell’artista muralista Frank Mason, il quale sosteneva che l’operazione di restauro avrebbe scorticato l’opera.
IL METODO SCIENTIFICO NEI GRANDI RESTAURI GRAZIE A PININ BRAMBILLA
Pinin Brambilla, scomparsa nel dicembre 2020, è una riformatrice. Non a caso ad oggi viene ricordata come una delle restauratrici più influenti di sempre. Maestra di uno dei più grandi restauri della storia, quello dell’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci all’interno della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, viene ricordata per aver introdotto il metodo scientifico nella tecnica del restauro.
La restauratrice lombarda fu tra le propugnatrici del centro conservazione e restauro della reggia di Venaria, nato nel 2005. In un periodo storico di espansione economica per l’Italia, con la fruizione di nuovi beni e di una lingua comune, Brambilla si rende conto dell’importanza delle relazioni scritte.
Il restauro comprende un enorme antecedente lavoro scientifico di studio del dettaglio, analisi, appunti, di cui poi la consultazione è imprescindibile. L’attenzione al carattere formale e tecnico di Pinin Brambilla rende per la prima volta l’arte del restauro un lavoro meticoloso con regole ben precise da seguire e lascia ai suoi successori un archivio prezioso.
PININ BRAMBILLA HA DOVUTO CERCARE LEONARDO NELLA SUA STESSA OPERA
L’importanza di un’opera come il Cenacolo vinciano è a tutti nota, ma la sfortuna-fortuna fu che Leonardo, per lavorare in modo così dettagliato sui suoi personaggi, dipinse a secco e non con la classica tecnica dell’affresco che prevede l’azione diretta su intonaco fresco.
Essendo la pittura non protetta, il rischio di essere deteriorata era quasi scontato; l’opera infatti subì cambiamenti già dai primi anni successivi alla sua conclusione che avvenne nel 1494. Nel 1566 la pittura era già compromessa, i pezzi si staccavano e gli interventi furono frequenti; in epoca napoleonica la stanza contenente l’Ultima Cena venne utilizzata addirittura come stalla.
Pinin Brambilla dovette letteralmente cercare il tocco leonardiano in mezzo ad una moltitudine di rifacimenti che avevano quasi cambiato i connotati dell’opera, a tal punto che la prima impressione della restauratrice osservando il quadro fu Madonna ma quanto è brutto. Dopo studi attenti al microscopio Brambilla non solo ritrova con sorpresa la pennellata originale di Da Vinci, ma comprende l’impianto tecnico di tutta l’opera, che era andato confondendosi negli anni.
Il buco nella fronte del Cristo che è lo snodo di tutto il sistema prospettico studiato a puntino da Leonardo, le tre sorgenti di luce illuminano i gruppi di personaggi dalle spalle.
I GRANDI RESTAURI: CORPO A CORPO CON LEONARDO
L’operazione di Pinin Brambilla, uno fra i grandi restauri della storia, è durata oltre vent’anni, vent’anni di un rapporto totalizzante con l’artista che la restauratrice racconta nel libro intitolato La mia vita con leonardo.
Leonardo ti sfugge, pensi di poterlo afferrare e invece ti scivola via. La restauratrice racconta di come in qualche modo si sentisse parte di quell’opera, conoscendola centimetro per centimetro.
Il suo più bel ricordo di quei vent’anni è legato alla scoperta dell’apostolo San Matteo: non era un uomo con la barba ma un bel giovane dalle labbra carnose.