Il 23 ottobre 1942, Mussolini, dopo un’avventata dichiarazione di guerra, mandò al massacro un esercito privo di mezzi e mal equipaggiato nel deserto, nella battaglia di El Alamein.
Fra quei giovani ragazzi italiani c’era mio nonno, un trentenne capitano paracadutista del nostro esercito che non fece mai ritorno da quelle dune, che non riabbracciò mai più mio padre che ancora indossava il pannolino. Dedico a lui ed a tanti altri suoi compagni questo articolo. La battaglia di El Alamein: una scommessa persa in partenza.
La battaglia di El Alamein: le mire di un singolo
Il 29 giugno 1942 Mussolini arriva nel deserto libico portando con sé un cavallo bianco con il quale avrebbe voluto cavalcare, trionfante, su Alessandra d’Egitto. Era sicuro che l’esercito italo-tedesco avrebbe avuto velocemente la meglio sulle truppe britanniche nel Nord Africa. Schierarsi con la Germania del folle con il baffetto fu il primo grande errore del nostro illustre statista. Ed il secondo tragico errore furono le sue manie di grandezza, la voglia di conquistare uno scatolone di sabbia da dove partire alla cattura del mondo.
I nostri soldati però erano mal equipaggiati, privi di mezzi per affrontare una guerra nel deserto assolato. Mussolini aveva dichiarato guerra, ma non aveva nemmeno le armi per difendersi. Ma ormai era tardi per mettere l’ego in disparte, per dire che si era sbagliato, scusarsi e tornare a Roma. Quando non si rischia personalmente la vita è molto più facile fingere di essere eroi.
Le truppe italiane il 9 settembre si misero in marcia e conquistarono alcuni villaggi insignificanti a livello strategico ed economico. Il Duce in quei giorni era tornato a Roma perché la gastrite lo aveva costretto a letto. Si dice che comunque festeggiasse per queste due minuscole vittorie. Non si preoccupava dei soldi spesi e di quelli che non aveva per andare avanti. Pensava in grande, alla sua finestra del Mediterraneo che gli era stata promessa.
Mentre si curava fra lenzuola di lino, mio nonno e tutti gli altri commilitoni erano nascosti nelle trincee a dividersi scatole di sardine scadute, senza acqua ne un pezzo di sapone da mesi. Nascosti notte e giorno fra sporcizia, feriti, sigarette senza filtro. Qualcuno intonava un canto, qualche altro fischiava, ma regnava l’incertezza tipica dell’inesperienza. Parlavano poco perché la paura degli inglesi che avanzavano era già altissima.
Senza difese
L’Italia non avanza, spera anzi che l’Inghilterra non decida d’affondare il loro coltello nel burro. Non andò così. Le truppe italiane agli inizi dell’inverno tentano di sbarrare la strada all’avanzare inglese, ma la carenza di rinforzi, cibo ed armi non consente una vigorosa difesa. Il 21 Gennaio del 1941 gli uomini del colonnello O’Connor s’impossessano di Tobruk ed al generale Graziani non resta che la ritirata: iniziano ad abbandonare la Cirenaica, ossia la regione orientale della Libia.
I nostri soldati sono stanchi, affamati, non hanno mezzi, ma non avrebbero nemmeno la benzina per metterli in moto. In questa ritirata a piedi, durante questo lungo cammino sotto il sole africano, molti soldati caddero prigionieri o finirono dispersi nel deserto. Mio nonno è morto così, di stenti, privo di forze, si è accasciato al suolo con le labbra sulla sabbia e forse ha detto un Padre Nostro per mio babbo che piangeva in una culla nella lontanissima Toscana.
Tante vite finite più o meno così, senza una borraccia, un colpo di vento o la carezza di una madre. Ovviamente la battaglia di El Alamein è stata molto più di questo, i risvolti sono stati molteplici come anche le situazioni di guerra. Quello che mi chiedo è però quanto sia stato egoista e stupido decidere volontariamente di far cadere uno dopo l’altro centinaia di giovani e con loro migliaia di persone che li aspettavano in Italia. Quando sento dei nostalgici parlare di statista mi viene paradossalmente da sorridere. Lui cercava di combattere la sua gastrite, i suoi attacchi di diarrea a Roma ed il suo esercito disarmato cadeva.
Consiglio a tutti, con il cuore, di vedere un film che fa rivivere la paura e il senso di abbandono di quei ragazzi: El Alamein, la linea del fuoco. Una pellicola del 2002 con Pierfrancesco Favino ed Emilio Solfrizzi per la regia di Enzo Monteleone.
La battaglia di El Alamein: il prezzo della guerra
El Alamein si trova in Egitto, al chilometro 120 della strada litoranea che congiunge Alessandria con Marsa Matruh. Lì, nel mezzo del niente, si trova simbolicamente mio nonno. In quel luogo sorge un sacrario militare costruito dal governo italiano per ricordare i nostri connazionali caduti nella battaglia di El Alamein. Hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane, poi sono caduti uno dopo l’altro. Mio nonno ed altri 17.000 suoi compagni d’avventura riposano abbandonati e dimenticati. Senza sepoltura, senza una messa, senza un corteo funebre, senza un ultimo abbraccio alla moglie, senza un ultimo bacio al figlio.
Alcuni audaci nostalgici del Duce minimizzano dicendo che mancò la fortuna, non il valore. In effetti il valore non è mancato senz’altro, ma chiamare fortuna una guerra stupida combattuta senza armi, alleati ad uno sterminatore seriale, mi sembra un pochino troppo. I soldati italiani fecero quello che poterono fin quando ne ebbero le forze. Loro furono valorosi. Combatterono con grande coraggio. I bersaglieri si sacrificarono fino all’ultimo uomo.
Le divisioni di fanteria Littorio e Ariete si annientarono per contendere il passaggio al nemico. Le divisioni Bologna e Trento furono travolte a Natale e pochi giorni dopo perirono anche tutti gli uomini della divisione Brescia. Mio nonno ed i suoi fratelli paracadutisti della Folgore partirono in 5000 da Tarquinia e soltanto 300 sopravvissuti fecero ritorno nello stivale.
Questo è il prezzo della guerra e di tutto quello che comporta in termini di vite, ricordi, affetti strappati, miseria, inutilità.